Sulle Orme di Egeria

Eleonora, la Divina


«È molto più che bella. D’un pallore opaco e un po’ olivastro, la fronte solida sotto le ciocche nere, le sopracciglia serpentine, i begli occhi dallo sguardo clemente, una bocca grande, pesante nel riposo ma incredibilmente mobile e plastica […] La voce è chiara e fine».

Conosciuta da tutti come la più grande attrice di prosa italiana, Eleonora Duse (1858-1924) rappresentò una figura femminile alquanto controversa per la sua epoca. Donna in carriera, famosa, acclamata da tutti in piena Belle Époque…eppure allo stesso tempo così fragile e delicata. Siamo abituati a ricordarla come un’artista straordinaria, ma che tipo di donna si celava realmente dietro i suoi innumerevoli personaggi teatrali?

Nata a Vigevano da una famiglia di artisti, Eleonora iniziò a recitare sul palcoscenico dei teatrini di provincia sin dalla tenera età; a differenza dei genitori, si conquistò la sua fortuna grazie al suo eccezionale talento e, dopo i primi anni di stenti e povertà, rapidamente accrebbe la sua fama e si trasformò nella “Divina”.

A soli ventitré anni era già capocomica e collaborava nelle scelte di repertorio, mettendo in scena drammi di livello sempre più elevato. Pare che ciò che la rendeva così diversa e così affascinante nel suo modo di recitare fosse proprio la sua estrema spontaneità; non aveva uno “stile”, recitava in modo istintivo e naturale, improvvisando molto. Alcune volte camminava gesticolando lungo il palco, altre ancora, soprattutto nelle scene in cui doveva esprimere un forte dolore, si aggrappava alle tende del sipario e piangeva disperatamente. Gli stessi francesi, pur non capendo la sua lingua – dato che la Duse recitava solo in italiano – erano talmente affascinati dal suo magnetismo che riuscivano benissimo a intendere quello che Eleonora voleva esprimere. Su di lei il drammaturgo russo Cechov scrisse:

“Ho proprio ora visto l’attrice italiana Duse in Cleopatra di Shakespeare. Non conosco l’italiano, ma ella ha recitato così bene che mi sembrava di comprendere ogni parola; che attrice meravigliosa!”

Sul palco Eleonora cercava sempre di essere il più naturale possibile; prima di lei, andavano molto di moda pesanti trucchi scenici e parrucche, che facevano del viso dell’attore una maschera completa, donandogli un aspetto fasullo. Invece, la Duse non si truccava mai, né in scena né nella vita privata, e sembra che fosse molto orgogliosa dei suoi lineamenti imperfetti, in contrasto con i canoni estetici dell’epoca. Lei stessa diceva sempre “sono bella quando voglio”, tanto che proprio per questa sua bellezza diversa era apprezzata ancora di più non solo dal suo pubblico, ma anche dalla critica.

Ben consapevole del suo fascino, nel corso degli anni Eleonora accentuò alcuni suoi atteggiamenti già di per sé molto provocatori per l’epoca, come le mani sui fianchi o lo sguardo fisso nel vuoto. Muoveva molto le braccia quando recitava, riempiendo la scena con tutto il suo corpo, e spesso sussurrava le stesse parole per diverse volte, quelle che più riteneva fondamentali per il suo personaggio. Tendeva molto a mischiare la sua vita privata con i drammi che doveva interpretare: famosissimo fu il suo gesto di protesta contro il primo marito, quando, dopo aver saputo del suo tradimento, mostrò il seno in scena, slacciandosi il corsetto.

“Le donne delle mie commedie mi sono talmente entrate nel cuore e nella testa che mentre m’ingegno di farle capire a quelli che m’ascoltano, sono esse che hanno finito per confortare me.”

Tutto questo non faceva altro che esaltare la sua modernità e la sua apertura mentale in quanto donna, tanto che oggi la potremmo tranquillamente definire una femminista. Scatenò una vera rivoluzione nell’arte teatrale della Belle Époque; infatti, ancora oggi sono rimaste parecchie impronte di lei nel teatro dei giorni nostri, come l’uso del corpo senza gesti plateali e l’assenza di trucco, sempre più apprezzata.

Nelle sue mani i drammi borghesi acquistavano tutt’altro valore, dando rilievo proprio ai temi più rappresentativi e spinosi dell’epoca: soldi, sesso, famiglia, matrimonio e ruolo della donna, che ci donavano il chiaro ritratto di una società perbene, eppure intrisa di ipocrisia, dove il denaro regolava ogni rapporto umano, compresi i sentimenti.

Negli ultimi anni della sua carriera, il rispetto per lei era talmente elevato che, durante le prove, gli attori della sua compagnia, nonostante magari non fosse presente, mettevano comunque in scena una poltrona vuota, intoccabile perché

“là c’è la Signora”.

Eppure, nonostante la sua enorme fama e ricchezza, Eleonora era molto sola. Senza dubbio conoscerla non solo come attrice, ma anche come donna sarebbe stato interessante: alcuni raccontano che, persino durante la sua malattia, seppur costretta a letto a riposare, riceveva gli ospiti recitando qualche monologo. Dopo un primo matrimonio infelice con un attore della sua compagnia, Tebaldo Marchetti, si legò poi ad Arrigo Boito e frequentò gli ambienti degli Scapigliati, finché, nel 1882, non incontrò Gabriele D’Annunzio a Venezia.

In quegli anni, la Duse risiedeva spesso a Venezia, l’amava talmente tanto da sentirsi veneziana nell’anima, e spesso apriva le porte della sua dimora agli intellettuali e agli artisti. Invece, D’Annunzio era autore di tre romanzi di successo e già famoso per la sua ricerca ossessiva del piacere.

Egli si recò a teatro in qualità di cronista della “Tribuna” per intervistare Eleonora, ma se ne innamorò all’istante. Quella sera stessa le chiese di giacere insieme, invito che tuttavia l’attrice, un po’ per sdegno e un po’ per orgoglio, rifiutò seccamente. Eppure, quello strano uomo le rimase impresso nella mente, tanto che scriveva agli amici:

“Preferirei morire in un cantone piuttosto che amare un’anima tale. D’Annunzio lo detesto, ma lo adoro…Che fare?”

Il poeta dovette attendere fino al 1888 prima di poter conquistare Eleonora, anche se la loro relazione ebbe inizio ufficialmente nel 1894. Il loro rapporto fu tempestoso, intenso e molto passionale, ricco di rancori, gelosie e continue riconciliazioni: Eleonora fu costretta a tollerare le diverse amanti di Gabriele, dato che lo amava profondamente e non riusciva a staccarsi da lui.

In quegli anni, grazie alla vicinanza di lei, il poeta diede il meglio di sé a livello letterario, usandola come musa ispiratrice per la sua più celebre raccolta poetica “Alcyone”; compose anche “Il Fuoco”, opera – si dice – dedicata alla Divina, dato che la protagonista Foscarina era un’attrice che viveva una tormentata storia d’amore con un personaggio molto simile a D’Annunzio stesso. A sua volta Eleonora portò in scena i drammi dannunziani, spesso finanziando lei stessa le produzioni e assicurando loro il successo anche fuori dall’Italia.

Dopo dieci anni, la passione fra di loro si spense, sebbene nessuno dei due fu mai in grado di dimenticare l’altro. Rimasero comunque molto legati, tanto che il poeta conservò gelosamente buona parte della loro corrispondenza; alcune lettere contenevano ancora le violette che lei gli mandava.

“Come vuoi che io ti ami? Vuoi che ti ami senza soffrire? Senza crudeltà, senza dolore, senza pianto? Che amore bello vorrei donarti, amandoti, ma ahimè c’è un che di crudele in ogni amore, anche nel mio”.

Eleonora continuò le sue tournée in giro per il mondo; tuttavia, era già gravemente malata di tubercolosi e morì sola in una stanza d’albergo di Pittsburgh, nel 1924, a 66 anni. Quando apprese la notizia, pare che Gabriele avesse mormorato:

“È morta quella che non meritai. Nessuna donna mi ha mai amato come Ghisola, né prima né dopo”.

Si dice che il poeta visse i suoi restanti anni struggendosi nel suo ricordo. Ancora oggi, al Vittoriale degli Italiani, è visibile un busto raffigurante Eleonora Duse, per la quale il poeta ebbe un vero e proprio culto; egli la chiamava la sua “testimone velata”, poiché la copriva con un velo quando si dedicava alla scrittura, sostenendo che Eleonora non dovesse guardarlo mentre lavorava.

Questo fu Eleonora Duse, una piccola donna italiana, che tuttavia seppe portare così in alto il nome della nostra nazione a livello teatrale. Al giorno d’oggi, di lei non è rimasta alcuna raffigurazione della sua arte, tranne qualche breve apparizione nella pellicola cinematografica “Cenere”.

Così fragile, eppure allo stesso tempo degna della più profonda ammirazione per la sua opportuna sfrontatezza, tanto da renderla una vera e propria icona.

“Senza la donna non va niente. Questo l’ha dovuto riconoscere perfino Dio”.

Eleonora Duse

Beatrice Gioia

“La fortuna aiuta gli audaci”
Virgilio, Eneide

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